Cosa ci insegna la musica per affrontare l’epoca dell’adattamento continuo
Improvvisare: siamo stati costretti tutti a farlo nell’ultimo anno e mezzo, molto più di quanto avremmo desiderato. Ogni DPCM ha cambiato le regole del gioco, del movimento, del lavoro, dell’apprendimento. Chi sa reggere questo gioco che ci porta oltre il concetto di apprendimento continuo e ci tuffa nell’adattamento continuo riesce a sopravvivere, o meglio anche a trarre vantaggio dal variare delle situazioni, dei limiti, e delle opportunità. Come in un videogame. Ma anche come in una jam di musica jazz. O in altre forme di improvvisazione, dal teatro alla poesie. Ma qual è o quali sono le condizioni chiave per essere in grado di improvvisare? “La forma probabilmente più diffusa di improvvisazione è l’uso del linguaggio quotidiano, in particolare della lingua madre”, ci risponde Alberto Odone, esperto del tema e docente di Ear Training presso il Conservatorio di Milano. “Il materiale linguistico utilizzato si colloca in una situazione intermedia tra l’invenzione pura, che in quanto totalmente nuova comprometterebbe la comunicazione, e la riproposizione meccanica di frasi precostituite, certamente non tipica della comunicazione quotidiana. Condizione di tutto ciò è la competenza linguistica acquisita nei primi anni di vita attraverso l’immersione nell’ambiente familiare, l’ascolto, l’imitazione via via più autonoma e creativa.” Colpisce, in quest’ultima frase, l’idea di “immersione” in un ambiente familiare. Per chi, come me, progetta servizi digitali, il rimando è al necessario confronto con il retroterra esperienziale degli utenti, nel caso ancor più specifico, di una piattaforma eLearning. Tutti noi, dunque, al cospetto di un tool, da Zoom al software di webmail alla nuova killer-app, operiamo probabilmente un misto di automatismo, basato su ciò che fino a quel momento abbiamo esperito, e improvvisazione, in termini di “provare a vedere cosa succede se”, di reazione a quello che è il risultato delle nostre azioni e di conseguente adattamento (e apprendimento).
Ma sappiamo bene che, a differenza della comunicazione verbale di cui ci parla Odone, che affonda in un’infanzia più o meno condivisa, nell’interazione con il digitale l’”immersione” originaria è assai diversa per tutti, con abissi tra boomer, millennial e generazioni a venire.
Coltivare l’adattamento tramite l’improvvisazione
Quindi come possono le persone, tutte differenti, tutte diversamente competenti digitali, coltivare le attitudini improvvisative? Come si diventa improvvisatori? Prosegue Odone: “a metà tra invenzione assoluta e riproposizone imitativa, l’improvvisazione musicale si acquisisce in un processo di ascolto e memorizzazione prevalentemente inconsapevole del materiale musicale che può consentire l’appropriazione, da parte del musicista, di una ‘grammatica’, di un insieme di regole di funzionamento del linguaggio musicale che consentano di riproporre i materiali sonori ascoltati e assimilati in forme continuamente diverse e personalizzate.” Ma quali sono le “regole” del digitale? Come formare alla corretta capacità di interagire con gli artefatti più moderni?
Improvvisazione digitale
Il mondo del digitale in questo potrebbe risultare paradossale: per certi aspetti la fissità del digitale, il fatto che si tratti, in fondo, di una faccenda di macchine, ci farebbe pensare che per relazionarci con loro, con computer, smartphone e tablet l’improvvisazione non sia necessaria, che prevalga una preparazione alla suddetta “grammatica”. Invece no. Anzi: l’impressione è sempre più che tali oggetti digitali ci spingano a un problem solving forzato continuo, a un’incessante riprogrammazione delle nostre abitudini d’uso, e non degli oggetti digitali che usiamo. Era del resto una delle ansie digitali di cui avevo parlato in un altro articolo (pre-pandemico, vale doppio ora!). Interessante sottolineare come in musica improvvisare “è possibile in riferimento a più stili, quindi a più tipi di ‘grammatica’, e nel concretizzarsi in sequenze di suoni può seguire percorsi prevalentemente inconsapevoli, orientati dalla memoria sonora inconscia, o ancora da riferimenti consci a schemi e percorsi formalizzati nella memoria stessa.” Ci chiediamo allora se esistono degli stili digitali, degli approcci comuni, delle regole sottese. Non c’è dubbio che dei buoni UX designer, letteralmente “progettisti di esperienze” risponderebbero affermativamente e potrebbero esplicitare molte delle regole suddette. Per poi tradirle nella pratica, a intervalli irregolari, in quello che è il normale, lecito processo di innovazione di interfacce, software, sistemi.
Improvvisare volando sulle nuvole
In tutto ciò il cloud ci spiazza ulteriormente. Ci piace ed è oltremodo comodo che la nostra piattaforma eLearning sia amabilmente custodita “online”, in un altrove apparentemente immateriale di cui vorremmo disinteressarci. Fino al momento in cui, dopo il login, guarda un po’, ci accolgono nuovi colori, pulsanti mai visti, funzionalità sconosciute. Oppure sono un Community Manager e mi trovo ad affrontare delle reazioni dei miei corsisti del tutto inaspettate. Come dire: stavo suonando tanto bene il brano, ma il batterista mi cambia il tempo, inserisce un accento dove non me lo aspetto. “Nel jazz parliamo di interplay, che è il modo in cui i musicisti interagiscono trovandosi a eseguire musica insieme. Alla sua base sta innanzitutto la capacità di ascolto assunta dal musicista come attitudine non solo volontaria ma spesso automatica, come caratteristica strutturale del suo essere esecutore. Questo consente ai musicisti di non sovrapporsi o annullarsi reciprocamente nell’esecuzione ma ancor di più, nei casi migliori, di mettere a frutto le idee musicali dei vari componenti del gruppo in un prodotto finale che non sia l’assemblaggio di singole iniziative ma un discorso corale, che porti traccia dei diversi contributi ma sia qualcosa di più della loro somma.”
Ascoltare quindi. Vivere il momento con un’attitudine aperta, e man mano capire come reagire ai cambiamenti, sviluppando nuovi automatismi più o meno consci, in quello che mi verrebbe da definire un problem solving creativo, dinamico e immerso in un flusso di apprendimento continuo in cui, non dimentichiamolo, gli attori in gioco sono tanti. In una piattaforma eLearning non interagisco con la macchina, ma con essa (e tramite essa) e molti altri umani. Non a caso parlo spesso di empatia e dell’importanza di trasformare il ruolo di formatori e degli insegnanti in facilitatori dell’apprendimento. Ma possono anche insegnare ad improvvisare? Chi può guidare loro e noi in questo processo? Forse gli artisti stessi?
Il ruolo dell’artista nel mondo del lavoro digitale
“Credo che il ruolo generale dell’artista nel mondo attuale sia legato alla possibilità di migliorare la qualità della vita, possibilità tanto più concreta anche per coloro che non si qualificano esplicitamente ‘artisti’.”
Tre anni fa ho avuto la fortuna di partecipare a un importante evento europeo a Berlino su questi temi. Lì, in un workshop molto partecipato, registi, musicisti, direttori di scuole d’arte e qualche project manager come me si sono confrontati a lungo su una domanda: “qual è il ruolo dell’artista nel mondo del lavoro contemporaneo?”. Le risposte sono state tante, diverse, utili, molteplici, ma in questo contesto ce ne interessa una. Fornire la giusta, indispensabile dose di creatività al mondo del lavoro, anche alle aziende. Aiutarle a coltivare quelle che, nell’artista, sono capacità indispensabili al mondo del lavoro di oggi.
“Sul versante lavorativo,” conferma infine Odone, “l’esperienza di interrelazione essenziale al fare musica insieme potrebbe proiettare i suoi benefici in una molteplicità di contesti, in quanto possibilità di valorizzare al massimo la pluralità e la diversità dei contributi rendendo le relazioni lavorative più elastiche e tendenzialmente mai a senso unico.”
Infine, dalle abilità dei musicisti possiamo mutuare le competenze trasversali di cui incessantemente si parla. Saper lavorare in gruppo, comunicare, gestire il tempo… in questa sede aggiungo appunto improvvisare, come una nota non a margine, ma come un nuovo fulcro centrale da cui partire in questo mondo post-pandemico (quando sarà post), per non affrontare senza perdersi d’animo le micro-sfide incessanti cui siamo costretti quando scegliamo un tool digitale, quando scarichiamo una app, installiamo un plug-in, aggiorniamo un software. Apprendere è anche questo, ed è bene che ci adattiamo a farlo nel modo più naturale possibile, anche giocando a creare percorsi osmotici con i mondi dell’arte, musica in primis.