Mettersi nei panni di chi abbiamo di fronte quando insegniamo: nulla di più ovvio e scontato. Chi avrebbe il coraggio di negare quanto sia importante? Nella pratica, tutti. O meglio, forse non tutti, ma se guardiamo a come ancora avviene l’insegnamento in moltissimi contesti, da quello scolastico fino al training aziendale, per non parlare del mondo universitario, le metodologie che si appoggiano sui concetti di active learning e che quindi coinvolgono i discenti a vario livello in modalità attive, quindi di scambio, sono certo ancora una minoranza.
So che il discorso può suonare estremo, ma nei fatti i lockdown hanno messo a nudo i limiti delle forme di insegnamento puramente frontale, specialmente se online. L’aver gettato nella rete bambini, ragazzi ed adulti ha reso ancora più evidente come le relazioni tra individui si debbano riconfigurare in maniere che prevedano una maggiore conoscenza degli uni e degli altri. Riformare l’apprendimento ripartendo da ciò che lo sostiene in primis, ossia la relazione, è quanto mai ora indispensabile. L’empatia, il sapersi immedesimare negli altri, è condizione indispensabile per farlo.
La rete rischia di amplificare le distanze, è stato detto fino alla nausea, di sminuire il coinvolgimento, di rompere la relazione. Se a questo aggiungiamo che oggi il digitale, grazie – o a causa – dei cosiddetti social (spazi sempre più pubblici e meno sociali) ha incrementato il narcisismo (per inciso, secondo la Treccani, l’opposto del termine empatia) a botte di selfie e sfoghi verbali, non possiamo che ritenere ancor più necessario affrontare in termini seri e pragmatici il tema dell’empatia nel digitale e nell’apprendimento.
Come coltivare l’empatia?
Ho avuto il piacere di tenere una lectio magistralis sul tema “eLearning ed empatia”, all’interno della quale ho suggerito una sorta di percorso per guidare l’integrazione fra tecnologia e apprendimento verso lo sviluppo maieutico dell’individuo e quello comunitario della società. Suona retorico, ma nella pratica si può declinare in una serie di indicazioni concrete che delineano dei trend che, a mio avviso, conviene percorrere sul piano delle esperienze, degli strumenti e delle metodologie.
Li elenco così, secondo gli step tipici di un percorso realizzativo di un qualsiasi artefatto digitale:
- Analisi: relazione + maieutica
- Progettazione: curiosità + fiducia + osmosi
- Implementazione: creatività
- Lancio: apertura (open)
Analisi: relazione + maieutica
Non si può andare incontro agli altri e stabilire una relazione positiva se non si sa dove andare, se non conosciamo noi stessi e chi abbiamo di fronte. Il “chi” è fondamentale. Nel mondo dell’eLearning, o dell’apprendimento supportato dal digitale, intervengono varie figure, che qui non andremo ad approfondire, ma che sostanzialmente riguardano tre macro-categorie, in sostanza trasversali ai vari stadi del percorso di LLL (Life Long Learning).
Docente/insegnante/formatore, colui che dovrebbe “contrabbandare conoscenza”;
- Insegnare con empatia
Discente/studente/alunno/formando, ossia chi apprende;
- Imparare con empatia
Progettista dell’ambiente formativo che sceglie e dà forma a piattaforme, strumenti e loro modalità d’uso;
- Progettare con empatia
Ognuno di questi deve essere ben consapevole delle proprie competenze digitali (e trasversali) e di quelle di chi gli sta di fronte e intorno.
Mentre per i primi due elementi non possiamo che rimandare a una naturale, storica necessità di empatia (comunque resa più complessa in ambito DaD ad esempio dalla presenza di familiari dell’alunno nello spazio di apprendimento casalingo, solo per fare l’esempio più banale), nel terzo si apre un mondo immenso e relativamente nuovo. Dice bene chi afferma che il mondo dell’eLearning è relativamente giovane, acerbo, al punto che ancora non ne esiste un lessico condiviso.
Chi progetta gli ambienti formativi digitali (o blended, o ibridi), ossia colui che sceglie gli strumenti digitali cui appoggiarsi (piattaforme, tool di videoconferenza, etc…) si trova ad avere responsabilità enormi sulle ricadute di tali scelte. Un’ovvietà anche questa? Forse no, in primis perché in questo caso parlare di empatia non è affatto scontato: quanti spazi digitali sono stati scelti senza considerare attentamente le esigenze di insegnanti e discenti? Quante volte in un LMS ci sentiamo spaesati al punto da chiederci chi ha mai pensato di mettere quel tal pulsante in quell’astrusa posizione? Soffrono di narcisismo anche gli UX designer? C’è ancora troppa ignoranza in chi opera le scelte? Il Covid ha richiesto decisioni troppo rapide, emergenziali?
La cosa interessa tutti, anche chi non progetta ma chi sceglie, compra, adotta uno strumento. Quindi l’insegnante, il dirigente, il Rettore, il Ricercatore, l’HR manager, il Ministero che a marzo 2020 consigliava piattaforme private americane per la scuola pubblica suscitando lecite polemiche. Tutto vero, ma è anche vero che ora è tempo di ragionare e scegliere con più calma e in ottica empatica.
Che lo si voglia o no, viviamo in un mondo in cui apprendere è sempre (LLL), ovunque (WWW) e in qualsiasi condizione (PPP, un gioco tetro di tripla pandemia che credo renda l’idea).
Siamo immersi dunque in un flusso di apprendimento dove è fondamentale:
- apprendere di continuo, saper nuotare;
- sapere cosa apprendere, dove andare a fondo, in base ai propri gap e alle proprie necessità personali e professionali;
- trovare ispirazione, aiuto, facendo rotta verso i campi che ci sono più familiari o quelli che sembrano essere più fruttuosi.
E poi, sempre in un’ottica maieutica di conoscenza di sé, sapere dove fermarsi, quando emergere, non apprendere. Mettere da parte lo smartphone e i corsi per non affogare. Saper emergere sulle isole giuste.
Progettazione: curiosità + fiducia + osmosi
In questo nuotare nel liquido dell’apprendimento digitale, come scegliere dove fermarsi per apprendere e scoprire metodi e strumenti che fanno al caso nostro? è necessario coltivare quanto più possibile la curiosità, quella che ci spinge a guardare con interesse sincero (ed empatico) ciò che fa il vicino. L’azienda deve osservare la scuola, dove l’innovazione sommersa è una fonte inesauribile di esperienze, idee, trovate mirabolanti. Il formatore aziendale che, incuriosito, andrà a sbirciare siti come quello della Rivista Bricks, di Idee per la Scuola, o leggerà il report internazionale “Open Education as a game changer – stories from the pandemic” si troverà di fronte modelli e tool di innovazione digitale a volte dirompenti, spesso efficacissimi, quasi sempre economici se non gratuiti. La scuola ne ha bisogno, li cerca, li crea e spesso li condivide senza segreti.
Va coltivata la curiosità tra ambiti differenti, e va cavalcata con fiducia la possibilità di creare ponti, non solo prendere in prestito delle idee.
Osserviamo gli altri mondi che corrono sul digitale, le altre arti, su tutte quella dei videogiochi (è una provocazione chiamarla arte? non credo, non sono certo il primo). Il mondo del gaming, dove l’empatia si può dire sia l’elemento caratterizzante (“Nel gioco siamo noi i protagonisti”, cito il game designer Matteo Pozzi), si assiste a nuove modalità di interazione con cui il mondo dell’istruzione e della formazione devono confrontarsi, non fosse altro perché bambini e ragazzi ora apprendono in quei contesti, con il gioco ma anche attorno al gioco.
Si pensi alla piattaforma Twitch, ahimè di Amazon, che, nata per ospitare dirette in streaming di videogamer ora è utilizzata nel cinema e nella musica. Chi la usa, spendendo ore della propria vita a tenere dirette, non sono solo ragazzi dalle eccezionali skill videoludiche (i campioni di “esports”) ma anche – ad esempio – filosofi. Alcuni giocano, ma parlano da filosofi, come Wesa, altri trattano la filosofia da prospettive nuove, su un mezzo nuovo (Twitch, appunto) con un target inaspettato ed intrigantissimo (i ragazzi). Ecco una relazione che cavalca il digitale più alla moda per veicolare a un target, i ragazzi, un tema, la filosofia, a un target, i ragazzi, che tutto si direbbe fuorché ‘di successo’. Invece i numeri e la qualità di Daily Cogito ci dicono che funziona.
Questa osmosi quasi estrema tra mondi così “popolari” e quelli dell’istruzione scolastica, così come della formazione aziendale, è una delle strade per sostenere la relazione tramite l’empatia di cui si parlava a inizio articolo, per capire cosa funziona, cosa interessa, intriga. E come le relazioni si strutturano in tali nuovi media: i canali di Twitch reggono (e sono anche remunerativi) proprio se chi crea contenuti e chi li fruisce entrano in contatto, in diretta o meno, se avviene uno scambio.
Dunque c’è un ulteriore passo verso un uso del digitale che rafforzi le relazioni complesse nella rete dell’apprendimento. Non basta guardarsi dentro e osservare ciò che c’è intorno. Bisogna fare, creare.
Implementazione: creatività
La creatività è ora il trend chiave per un nuovo modo di navigare fruttuosamente nel mondo dell’apprendimento e del lavoro. Delle quattro modalità in cui grossomodo si usa il digitale oggi, e che riassumo nell’immagine, la creatività è quella che è più a lungo rimasta sottoutilizzata non solo dai ragazzi, anche dai nativi digitali, ma anche nel mondo aziendale.
In un mondo in cui “farsi da soli” un video, un sito, una app, una trasmissione su Twitch o quant’altro è sempre più facilitato e diffuso, è necessario saper indirizzare e coltivare le proprie potenzialità creative e quelle dei nostri studenti, collaboratori, figli e nonni. Suona forse estremo, ma il “prosumer” di cui parlava Derrick de Kerckhove di negli anni ‘90 è grossomodo lo stesso “creator” di oggi, con la differenza sostanziale che oggi si è arrivati a parlare di “creator economy” dal momento in cui monetizzare la propria creatività, che sia musicale o videoludica o giornalistica, è sempre più prassi: quello di Francesco Costa, vicedirettore de “Il Post” ma anche autore tuttofare e “creator” del blog “Da Costa a Costa” è un caso esemplare.
“La grande innovazione è infatti, secondo me,”, racconta Costa a Valerio Bassan in un bell’articolo di marzo 2021, il rapporto diretto che ogni creator può instaurare con la propria audience, anche senza beneficiare di una struttura organizzativa o di risorse produttive che non siano le proprie. È una relazione nuova che cambia persino le regole della celebrità.”
Sarebbe sciocco non chiederci come questa declinazione creativa e remunerativa del digitale non possa esplodere anche nel mondo dell’apprendimento. Gli insegnanti illuminati che praticano l’active learning raccontano di e-book creati da ragazzi delle secondarie, io stesso ho condotto game jam e game storm nei quali bambini di 4 anni oppure liceali hanno creato videogame in forma di idee o prototipi. Tutto questo accade anche in azienda, ma l’impressione è che tali pratiche fatichino ad attecchire, forse anche solo perché tradizionalmente nella nostra società la creatività è sempre meno incentivata col crescere dell’età.
Tornando all’empatia, quale pratica migliore per coltivarla se non il domandarsi consapevolmente “per ci sto creando questo? chi lo userà, lo leggerà, lo imparerà? come?”.
Lancio: apertura – verso l’open education
Che fare poi dunque di queste nuove creature digitali, più o meno didattiche e ludiche? Nel 2021 ci posizioniamo in un momento cruciale della storia dell’eLearning a causa dei lockdown. Riflettendo a ritroso su questa storia, breve ed intensa, si evidenzia come la formazione a distanza e quella più puramente online o blended abbiano spessissimo avuto una funzione connessa all’inclusione sociale. L’episodio cui viene fatta risalire la nascita dell’eLearning pare risalga al 1837, quando in UK fu attivato un corso di stenografia per corrispondenza, bidirezionale, per le donne che facevano fatica a trovare un impiego.
E’ dunque un’iperbole affermare che durante il lockdown abbiamo assistito a una sorta di tentativo (forse maldestro) di inclusione di massa? Forse sì, se non teniamo conto dei digital divide che hanno segnato comunque tutti coloro cui mancava la connessione o il device, o le competenze per usare gli strumenti. Ma se entriamo in un’ottica di open education capiamo invece come le potenzialità che il digitale oggi può esprimere su scala globale (“WWW/LLL/PPP”) sono enormi se consideriamo la priorità di dare accesso quanto più possibile aperto alle risorse educative: le OER sono definite lo strumento principe per l’uguaglianza sociale.
Mi piace giocare con le utopie, forse anche solo per tentare di realizzare imprese quantomeno decenti guardando più lontano possibile. Per puntare virtualmente a un’empatia digitale che abbia un vero impatto sociale, a partire dal mondo dell’apprendimento, potremmo parlare di empatia globale tramite l’open education, per sostenere strumenti, metodologie, risorse, libri, software e quant’altro liberi. E se siamo tutti potenziali creators, o progettisti di artefatti digitali, teniamolo a mente quanto più possibile.