Progettare engagement, fare engagement, parlare di engagement… ci confrontiamo costantemente con questo potentissimo mediatore dell’apprendimento, ma finiamo per trattarlo, il più delle volte, come un aspetto complementare: l’ingaggio è nel migliore dei casi un elemento della checklist di progetto, un accessorio di volta in volta declinato in modalità diverse. Finiamo così per illuderci, ad esempio, che fare engagement sia necessario inserire qualche elemento di gioco in un corso, oppure costruire un piano di comunicazione efficace per un piano formativo, magari individuando una buona metafora, o ancora progettando un efficace storytelling… ma, siamo sicuri che queste strategie esauriscano il discorso?
In realtà l’engagement, come per il povero Tantalo, sfugge dalle mani, crediamo di vederlo, ci prepariamo a coglierlo, ma… svanisce. Perché è un processo molto più complesso, influenzato da una molteplicità di fattori, tutti rilevanti e decisivi quando si parla di efficacia dell’apprendimento. E proprio la sua volatilità, data dalla sua complessità, impedisce di comprenderne la natura sistemica.
Se vogliamo raccogliere non soltanto dei soddisfacenti dati di fruizione – che, dobbiamo ammetterlo, non sono sempre indici di autentico ingaggio – ma soprattutto stimolare un’autentica qualità di coinvolgimento nelle persone, è necessario modificare il nostro approccio al tema. Perché l’engagement incarna, in fondo, la missione più alta per chi si occupa di apprendimento, che sintetizzerei così: creare ambienti in cui ogni persona possa trovare la sua personale chiave di accesso alla comprensione di sé, al senso di ciò che fa e, conseguentemente, al desiderio di apprendere e sviluppare le proprie capacità.
In questo articolo, proveremo a condividere alcune riflessioni per provare a stimolare nuove mappe dell’engagement, per orientarci nella natura di questo territorio ancora, sotto molti punti di vista, inesplorato.
In un macrocontesto infodemico, ibrido e disintermediato caratterizzato da fragilità, ansia, non-linearità e incomprensibilità, in cui in ogni momento, chiunque cerca di ingaggiarci in qualche modo su una strada, quindi, è necessario avvicinarci alla sfida dell’ingaggio autentico da una prospettiva diversa. Il primo suggerimento, come detto, è evitare semplificazioni eccessive: fare engagement, come vedremo, vuol dire occuparsi della persona e dell’ambiente in cui è inserita, cogliere un altro ordine di bisogni e desideri, più vicini al perché che al come, e progettare risposte in modo sistemico, dirette dell’essere umano e della comunità organizzativa in cui è inserito. Fare engagement oggi, concretamente, significa avviare una pista trasversale a tutti i progetti, una pista che viene prima di ogni iniziativa formativa specifica, e considerare tutti i fattori che impattano su questo mediatore dell’apprendimento, ovvero:
- quelli interni alla persona: motivazione, rilevanza, autonomia, emozione, senso
- quelli esterni: ambiente, comunità, cultura, ovvero, come vedremo, l’atmosfera
Il senso dell’ingaggio: organicità e passione
Per approfondire le nostre riflessioni e implicazioni, abbiamo bisogno di dare un senso al concetto d’ingaggio. Per farlo, partiamo dal metodo UWES, acronimo di “Utrecht Work Engagement Scale”, uno strumento di indagine utilizzato per misurare l’ingaggio lavorativo, sviluppato da due psicologi del lavoro, Arnold B. Bakker e Wilmar B. Schaufeli, presso l’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi.
Si tratta di un questionario in 17 domande, a cui rispondere secondo una scala d’intensità che va da 0 (evento mai verificato) a 7 punti. Le domande sono raccolte in 3 aree relative alle tre caratteristiche associate dagli scienziati all’engagement: vigore, dedizione e coinvolgimento.
- Il vigore viene esplorato mediante domande che indagano energia e resilienza
- La dedizionemediante domande che indagano l’entusiasmo, la passione, l’orgoglio e l’ispirazione
- Il coinvolgimentomediante domande volte ad approfondire livello di assorbimento derivante da ciò che si fa
Seppur datato (il modello è del 2003), si tratta sicuramente di un riferimento importante perché ci aiuta a dare tridimensionalità a un concetto altrimenti appiattito, oggi, su definizioni elementari.
Sulla base di queste coordinate, allora domandiamoci: come avviene l’esperienza di ingaggio per un essere umano? Seguendo il metodo UWES, l’ingaggio sembra configurarsi più come un processo intuitivo-emotivo (Bakker e Schaufeli ci parlano appunto di vigore, dedizione, assorbimento) che logico-razionale. È un’esperienza che attiva il desiderio di muoversi con dedizione verso una direzione (un senso) che ci attrae. Possiamo dire di sentire l’ingaggio, a volte sappiamo di essere ingaggiati ma, difficilmente, nella nostra esperienza individuale, possiamo ricondurre questo sentimento a una causa specifica.
Il motivo risiede nel fatto che l’ingaggio è un sentimento e come tale è un’esperienza complessa, che ci coinvolge nella nostra totalità, anima e corpo. Potremmo quindi dire che quella dell’ingaggio è un’esperienza organica: organico è una parola che prendiamo in prestito dalle arti performative e si riferisce a una particolare qualità del gesto artistico che è appunto organico quando tutto il corpo del performer (non soltanto una parte) è coinvolto e partecipa a quel determinato movimento ed è coerente, proporzionato e significativo rispetto all’ambiente in cui avviene. È a queste condizioni che l’azione scenica risulta:
- equilibrata: nel vero e proprio senso della parola, ovvero stabile;
- armonica: esteticamente ed espressivamente efficace perché proporzionata;
- energica: vigorosa e potente, quindi ingaggiante per chi guarda
- amplificata: e quindi visibile anche a distanza – pensiamo al pubblico presente a una performance
- economica: dal momento che il carico di lavoro è distribuito su tutto l’apparato motorio, il gesto organico riduce il sovraccarico, ottimizza l’utilizzo dell’energia e della forza e migliora così la qualità e la precisione
Una persona ingaggiata è una persona che agisce in modo equilibrato, armonico, energico, amplificato, economico, ovvero organico.
Ora, se questo modello vi convince, seguendo il metodo UWES, continuiamo nella nostra ricerca del senso del concetto di engagement, esplorando le altre due componenti del modello: la dedizione e l’assorbimento, ovvero il desiderio. È proprio l’etimologia della parola desiderio, forse una delle più affascinanti, che possiamo trarre altre interessanti indicazioni: desiderio deriva dal latino ed è composto dalla preposizione de- (che ha sempre un’accezione negativa) e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare vuol dire “mancanza di stelle“, “non vedere/avere le stelle“. Il desiderio si attiva, quindi, in virtù del riconoscimento di una mancanza… e che mancanza! Soltanto la mancanza di qualcosa di così misterioso e meraviglioso come le stelle può sviluppare e nutrire il sentimento di ricerca appassionata, il desiderio di apprendere. E qui, una precisazione è necessaria: non è la mancanza di informazioni ad attivare questo genere di desiderio (spesso, in azienda, su questa insufficienza e sulla complessità di reperire dati si giocano strane dinamiche di potere o, peggio, criteri di valutazione delle capacità delle persone), ma la mancanza di stelle, ovvero di qualcosa di molto più potente e affascinante. Se ci pensiamo, le stelle sono corpi in grado di liberare un’enorme quantità di energia, e, fuori dalla metafora quindi, di liberare passione. Le stelle rimandano a bisogni più profondi o più alti, dicevamo all’inizio più vicini al perché che al come, e rappresentano la scintilla che stiamo cercando, quella che, metaforicamente, accende il desiderio di apprendere.
Cosa ci stiamo dicendo, quindi? Che l’ingaggio, a livello personale, è una dimensione del desiderio e della passione, che rende le persone vitali, dedite, focalizzate nel modo di fare le cose e che nasce da un perché riconducibile a un senso o a un obiettivo più alto.
Se alziamo l’asticella a questo livello, allora l’ambiente in cui ogni persona si muove riveste un ruolo decisivo, perché il desiderio matura sempre all’interno di un contesto, ovvero di un di una comunità, di una cultura e, quindi, di un’atmosfera.
L’ingaggio atmosferico
L’ingaggio è, quindi, un sentimento non solo personale e soggettivo (mi sento ingaggiato) ma anche atmosferico e oggettivo (sento di essere ingaggiato, ispirato da non so cosa, ma è qualcosa che dà senso a ciò che faccio).
L’ingaggio, da questo punto di vista, quello atmosferico, non è una mera caratteristica “dell’acqua nella quale siamo immersi”, per dirla con D. F. Wallace; ma è l’acqua stessa, e l’importante è iniziare a percepirla; non la proprietà di un ambiente, ma l’ambiente per come ne facciamo esperienza diretta, tutto insieme: la sua qualità, il suo clima, la sua atmosfera. E cos’è l’atmosfera? Una delle definizioni più illuminanti, ce la regala M. Checov, teorico e pedagogo dell’arte recitativa, che nel suo manuale La tecnica dell’attore, definisce l’atmosfera un sentimento oggettivo, che possiamo cogliere soggettivamente e che, al tempo stesso, contribuiamo a generare con i nostri sentimenti. I grandi registi del cinema e del teatro sono maestri nel creare atmosfere funzionali all’azione, senza le quali, anche la trama più avvincente finisce per non catturare l’attenzione dello spettatore. Al contrario, un’atmosfera ben curata è una dimensione nella quale si attivano motivazione, emozione, desiderio di esplorare, sapere e scoprire la storia. E quest’atmosfera, questo sentimento oggettivo, influenza la nostra azione ed è, dai nostri sentimenti soggettivi, al tempo stesso, influenzata.
Traendo ispirazione da questi elementi, possiamo in sintesi dire che siamo ingaggiati quando siamo sottoposti a un doppio movimento: quello esterno (atmosferico) che sollecita quello interno (il desiderio).
E quali sono gli ingredienti che determinano il sentimento di atmosfera? In una dimensione ibrida, come quella di oggi, l’atmosfera organizzativa, è prodotta dalla cultura (valori, significati e contenuti), dalla comunità (relazioni, missione e visione) e dai sentimenti soggettivi delle persone che animano l’ambiente di lavoro, sui molteplici canali di contatto tra la persona e l’ambiente. Queste 3 dimensioni concorrono a creare l’opportunità di rintracciare un senso più profondo; diremmo “quello delle stelle”, che è il senso più profondo che le persone possono rintracciare in quello che fanno. Le sfide più grandi, oggi, ci riguardano tutti: le organizzazioni sapranno essere acceleratori di un cambiamento significativo, se sapranno creare atmosfere che possono orientare il senso, configurandosi come opportunità per la crescita della persona e della comunità.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo provato a condividere delle chiavi di interpretazione delle sfide che riguardano l’ingaggio, consapevoli che ormai molti processi, di onboarding, sviluppo e retention necessitano di un livello di driver nuovi. L’ingaggio autentico è, tra i molteplici acceleratori dei processi di apprendimento, quello che più di ogni altro rifugge ogni possibilità di essere semplificato, pena l’insuccesso delle iniziative. Richiede una progettualità dedicata, perché chiama in causa 2 livelli davvero sfidanti dal punto di vista progettuale, che abbiamo chiamato desiderio e atmosfera.
Quindi, accettare la portata della sfida significa essere disposti a inquadrare l’engagement nella prospettiva corretta, quella di un processo maieutico, che mette la persona al centro nella scoperta di sé, nel processo di ricerca del senso che dà a quello che fa. La decisione di starci o meno, di cogliere o meno il senso è nella sfera di controllo della persona (pensiamo al grande fenomeno delle grandi dimissioni) ed è decisiva (passatemi il gioco di parole): se l’ambiente intorno non crea possibilità di senso, non potrà contare oggi su persone ingaggiate; se saprà stimolare, dischiudere, evocare visioni, direzioni, significati, valori le persone trarranno da lì un autentico sentimento di ingaggio e si dedicheranno con passione a ciò che fanno, alla loro crescita e allo sviluppo della comunità in cui sono inserite. Sta a noi alzare l’asticella.