Skilla si concentra da anni su come affrontare e promuovere temi come l’inclusione, l’equità di genere, il linguaggio inclusivo, argomenti cruciali che definiscono anche un impegno quotidiano in azienda.
Oltre a un impegno concreto, Skilla ha sviluppato nell’ultimo periodo anche diversi percorsi che hanno come focus proprio queste tematiche:
- Nel Learning Path Protagonisti della Sostenibilità, troviamo che proprio uno dei 17 focus dell’agenda 2030 è la Parità di genere
- Nel Learning Path Diversity and Inclusion, oltre a contenuti che indirizzano il Diversity Management troviamo un modulo specifico dal nome Le parole dell’inclusione, che si concentra sul linguaggio come potente strumento di inclusione
- Nel Learning Path Equità di genere, che promuove le cosiddette “azioni positive”, ossia l’adozione di misure e di strumenti volti a realizzare la piena equità tra uomini e donne nel mondo del lavoro.
E proprio l’equità di genere è stato il focus di uno degli ultimi appuntamenti con i webinar Skilla del 2023. Il nostro viaggio ha avuto come guida Giorgia Ortu La Barbera, consulente senior in diversity, equity and inclusion. Vediamo quali sono i punti salienti che l’esperta ha toccato nell’intervista che le abbiamo fatto.
Equità e uguaglianza
Spesso si confonde il tema dell’equità di genere con quello dell’uguaglianza. In realtà, i due concetti non sono analoghi: un’immagine significativa che esprime la differenza tra equità e uguaglianza è quella di tre persone con condizioni strutturali diverse. Si osservi l’immagine.
A sinistra, si rappresenta il concetto di uguaglianza, dove si garantiscono gli stessi strumenti a tutti, indipendentemente dalle necessità individuali. Tuttavia, questo potrebbe favorire alcuni a discapito di altri. A destra, invece, si rappresenta il concetto di equità, che consiste nel considerare le diverse condizioni di partenza e nel fornire strumenti che si adattino meglio a queste esigenze, anziché distribuire in modo uniforme le possibilità.
Questo è un concetto fondamentale, specialmente quando si parla di equità di genere nel mercato del lavoro. Recentemente, il premio Nobel per l’economia Claudia Goldin ha scientificamente confermato questa prospettiva. Se non riconosciamo le disparità iniziali tra uomini e donne, diventa difficile implementare azioni positive che, sebbene possano sembrare disuguaglianze, in realtà tengono conto delle diverse condizioni di partenza.
Quali sono le azioni positive che possiamo adottare per combattere queste disparità?
Ce ne sono diverse, quindi iniziamo con un set di azioni.
- Prima di tutto, è essenziale identificare le azioni di misurazione. Poiché le condizioni di partenza sono diverse, è cruciale comprendere quali sono queste disparità numericamente. Quindi, suggerisco alle organizzazioni di creare un bilancio di genere, che rappresenti una panoramica dei numeri all’interno dell’organizzazione, tenendo conto non solo della presenza di uomini e donne, ma anche della loro distribuzione nelle posizioni di vertice, manageriali e di responsabilità. È importante anche misurare il divario retributivo e valutare aspetti più qualitativi come l’accesso agli strumenti di conciliazione, lo smart working, il part-time, e così via, per comprendere le esigenze della popolazione aziendale.
- In secondo luogo, ci sono azioni legate agli interventi di sistema. Ad esempio, l’introduzione di quote di genere e obiettivi di sviluppo basati sulla rappresentanza di uomini e donne in determinati ambiti dell’organizzazione. Un altro approccio sistemico è la certificazione di parità, che formalizza azioni spesso motivate dalla volontà di lavorare in questo ambito, ma al di fuori di un approccio strutturato. Queste azioni di sistema possono includere policy che delineano l’orientamento dell’organizzazione in termini di parità di genere e codici di condotta.
- Infine, ci sono azioni di natura culturale. Pertanto, abbiamo discusso di azioni di misurazione, sistema e cultura. La cultura organizzativa si sviluppa attraverso comunità interne, permettendo un approccio bottom-up per identificare le esigenze e proporre percorsi formativi. Inoltre, è fondamentale lavorare sulle politiche di conciliazione e facilitazione, considerando che le disuguaglianze persistono anche al di fuori del contesto lavorativo, ad esempio nei carichi di lavoro.
Cosa sono gli stereotipi di genere?
Sono delle idee preconcette, delle impressioni che persistono nel tempo e sono difficili da decostruire. Implicitamente, ci dicono quali dovrebbero essere le caratteristiche degli uomini e delle donne. Gli stereotipi di genere si applicano sia al maschile che al femminile: per esempio, suggeriscono che un uomo debba dimostrare forza, coraggio e orientamento al rischio, oltre a certe caratteristiche di leadership e razionalità, mentre le donne dovrebbero manifestare maggiore debolezza, ascolto ed empatia.
Tuttavia, qual è il problema con gli stereotipi? Come suggerisce l’autrice Chimamanda Ngozi Adichie, essi raccontano solo una parte della verità. Non è che gli stereotipi non riflettano alcune caratteristiche reali di uomini e donne, ma piuttosto le riaffermano, consolidando durante il nostro percorso educativo le aspettative sociali su cosa significhi essere uomo o donna e come ci si debba comportare di conseguenza. Inoltre, è interessante notare che gli stereotipi di genere riguardano sia gli uomini che le donne, ma quelli riguardanti le donne tendono ad avere una connotazione più negativa. Questo si riflette nel fatto che definire una ragazza “come un maschio” può essere considerato quasi un complimento, mentre chiamare un ragazzo “come una femmina” è chiaramente dispregiativo.
Questo ci mostra la differenza nell’impatto che gli stereotipi hanno sulle identità di genere. Tali percezioni influenzano profondamente non solo la vita sociale individuale, ma anche e soprattutto la vita lavorativa, dove si prevede che questi stereotipi vengano riprodotti nei ruoli professionali.
Quindi, all’interno dell’ambiente lavorativo, cosa possiamo fare per superare gli stereotipi di genere e promuovere un’organizzazione che metta in luce tali stereotipi e incoraggi comportamenti al di là di essi? Cosa possiamo fare per affrontare questa sfida?
L’obiettivo è creare un ambiente dove tutti, non solo le donne, siano liberi dagli stereotipi di genere. Sebbene le donne subiscano un impatto maggiore degli stereotipi di genere, è importante riconoscere che anche gli uomini sono influenzati da questi stereotipi, che non riflettono le persone reali che vivono nella società, nel mondo del lavoro e nelle famiglie.
Sappiamo che le donne ne sono particolarmente influenzate e capita che li interiorizzino e li riproducano inconsapevolmente. Questo aspetto dell’inconsapevolezza è fondamentale, poiché per affrontare la ricostruzione degli stereotipi è necessario prima di tutto essere consapevoli della loro esistenza. Gli stereotipi sono il risultato di distorsioni cognitive che applichiamo al di sotto della nostra soglia di consapevolezza, e che, una volta applicate alle relazioni sociali, diventano pregiudizi associati ad alcune caratteristiche delle persone.
Lavorare sulla consapevolezza è quindi il primo passo: quando conduco attività formative su questi temi, spesso incontro resistenza da parte di coloro che sostengono che “noi siamo così”, ma il riconoscimento che gli stereotipi influenzano le nostre percezioni è un punto di partenza cruciale. Ad esempio, pensiamo all’impatto che può avere su un uomo il sentirsi obbligato a rispondere a un mandato sociale di coraggio e dominanza, anche se queste caratteristiche non gli corrispondono. È importante ammettere l’esistenza degli stereotipi, riconoscere quanto ne siamo vittime e liberarci dall’idea che possano essere completamente eliminati. Anche se aumentiamo la consapevolezza, è probabile che continueremo a imbatterci in alcuni stereotipi, come nel caso dei commenti sull’estetica delle donne. A livello organizzativo, è necessario un lavoro di accompagnamento su questi temi, che può avvenire su due fronti: l’ambito organizzativo e l’ambito personale:
- a livello personale, dobbiamo riconoscere i nostri pregiudizi, interrogarci se li stiamo riproducendo e monitorare il nostro linguaggio, poiché gli stereotipi si riproducono attraverso le parole che usiamo. Una volta acquisita questa consapevolezza, possiamo sfidare gli stereotipi nel contesto in cui ci troviamo.
- a livello organizzativo, è importante formare le persone e renderle consapevoli, monitorare i processi interni dell’organizzazione che potrebbero essere influenzati dagli stereotipi, come i processi di reclutamento, selezione e valutazione. Naturalmente, è fondamentale condurre azioni di sensibilizzazione e monitoraggio costante, ritornando al tema della misurazione. Ad esempio, è cruciale monitorare quanti uomini e quante donne vengono assunti in determinate aree, così come quanti uomini e quante donne avanzano all’interno dell’organizzazione. È possibile che gli stereotipi si annidino nei processi organizzativi, quindi monitorare queste metriche può aiutare a identificare e affrontare eventuali disparità di genere.
Certamente, una delle manifestazioni più evidenti e deleterie degli stereotipi di genere sono le molestie di genere. Vedendo questi due temi molto strettamente correlati, possiamo individuare un forte rapporto di causa ed effetto tra di essi. Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo alle molestie di genere e esiste una definizione precisa per questo fenomeno?
La molestia è nella maggior parte delle situazioni un comportamento che viene agito sulla base di uno stereotipo. L’esempio su tutti è quello che oggi si chiama “catcalling”, ossia il commentare il corpo di una donna per strada o in qualunque situazione, prevalentemente in contesti pubblici, ma facendo passare quel commento come se fosse un apprezzamento. Qual è lo stereotipo? Lo stereotipo è che io, come uomo, debba in qualche modo manifestare il mio interesse per quella donna e che questo rientri nel mio mandato maschile. L’altro stereotipo è che dall’altra parte ci sia una persona che apprezzi il commento. Perché? Proprio in forza di un ulteriore stereotipo per cui l’importanza data alla propria estetica è fondamentale. Quindi, vediamo che la molestia si configura in senso stretto come l’agire dettato da uno o più stereotipi.
Va sottolineato che in Italia la molestia non è reato, diversamente da altri paesi. Abbiamo visto di recente in Spagna una situazione in cui una giornalista è stata molestata mentre stava facendo delle riprese in diretta. Dallo studio, il suo collega ha chiamato prontamente la polizia. L’uomo è stato arrestato perché in Spagna quel tipo di comportamento è un reato, mentre in Italia non abbiamo una legislazione che definisca in modo chiaro cosa sia la molestia in generale.
All’interno dei contesti di lavoro, il codice delle pari opportunità ha introdotto il concetto di molestia tra le discriminazioni: è discriminazione qualunque comportamento che può indurre disagio o può essere lesivo della dignità personale attraverso l’uso di un linguaggio di comportamenti, uso di immagini, eccetera. Sono tutti quei comportamenti indesiderati che possono essere espressi in diverse forme fisiche, verbali o non verbali. Ma la cosa più interessante è che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore. Che cosa vuol dire? Che talvolta la molestia può anche essere non intenzionale. Il più classico degli esempi è giustificarsi dicendo che si sta facendo “solo una battuta”. A volte, anche se non si ha l’intenzione di offendere qualcuno, l’effetto che un’azione o un’espressione produce è proprio questo. Quindi, questo tipo di commenti e apprezzamenti, o un contesto in cui il linguaggio è connotato da delle forme di sessismo, anche goliardico, può creare un clima degradante rispetto ai generi. Tutto ciò si configura come una molestia.
In aggiunta ci sono poi le molestie sessuali, che non sono semplici molestie, ma hanno un carattere esplicitamente sessuale. Come le molestie generiche, queste sono gli stessi comportamenti a connotazione sessuale, quindi che hanno un chiaro intento e vanno a produrre un effetto di violazione della dignità.
Che cos’è la prassi di riferimento UNI/PdR125:2022 e come si configura, rispetto a quanto emerso finora?
La prassi di riferimento sono delle linee guida, quindi un concetto un po’ diverso da quello, ad esempio, di certificazioni ISO. Le organizzazioni vengono valutate per capire se rispondono in maniera positiva a quelle linee guida.
La UNI/PdR 125:2022 orienta le aziende nel mettere in pratica le linee guida per la gestione dell’equità di genere. Per ottenere la certificazione, le organizzazioni devono raggiungere un certo punteggio su vari indicatori. Spesso, nonostante le loro buone azioni, non raggiungono il 100%. Tuttavia, la prassi fornisce linee guida per il miglioramento, offrendo indicazioni chiare su come sviluppare l’equità di genere. Questo processo dà forma e sostanza alle azioni, rendendole più strutturate rispetto a quelle non organiche. Si concentra su sei aree, misurate attraverso 33 indicatori, il cui primo punto è la cultura e la strategia, essenziale per ottenere risultati strutturali. La governance richiede la designazione di un presidio sulla diversità e l’inclusione, oltre a un forte impegno da parte dei vertici. Ci sono anche processi specifici che devono essere presidiati per affrontare gli stereotipi, come la sistemazione dei processi selettivi per garantire equità e valorizzare le competenze. Un’altra area importante riguarda l’opportunità di crescita e inclusione delle donne, che include indicatori quantitativi come il numero di donne dirigenti e ai vertici delle organizzazioni. La prassi incoraggia il confronto con il benchmark del settore, spingendo le organizzazioni a essere migliori dei loro pari. L’equità retributiva è un altro tema cruciale affrontato dalla prassi, che stabilisce criteri chiari per misurare il divario salariale.
Perché certificarsi? Lo si fa perché è una cosa buona da fare o ci sono altre ragioni? Quali sono i vantaggi della certificazione di parità per un’organizzazione?
Intanto citiamo i vantaggi più pratici, più prosaici: lo sgravio fiscale. Certamente questo non è un motivo sufficiente per certificarsi, perché la certificazione è molto impegnativa, ma sicuramente rappresenta almeno una possibilità di rientro dall’investimento. Un altro vantaggio concreto è la possibilità di partecipare a gare d’appalto con una penalità ridotta.
Ci sono poi altri motivi: un altro aspetto ha a che fare con la formalizzazione delle azioni che l’organizzazione potrebbe aver già avviato in maniera informale. Avere un piano chiaro su cosa fare può dare una struttura a qualcosa che potrebbe essere stato gestito in maniera disorganica. Un altro vantaggio è sicuramente essere un più attrattivi sul mercato del lavoro, e quindi la certificazione permette di accelerare il processo di trasformazione.
C’è poi il tema dell’employer branding e di come si comunica il brand. È vero che la certificazione può essere qualcosa che viene comunicata all’esterno, ma deve anche essere rispecchiata internamente, quindi non è solo un’azione di marketing; permette effettivamente di dare coerenza tra ciò che si comunica e ciò che si fa. Infine, rappresenta un vantaggio per tutte le persone, perché, ad esempio, tutte le politiche di conciliazione vanno a valorizzare non solo l’esperienza genitoriale materna, ma anche quelle aziende che lavorano in modo proattivo sulla genitorialità paterna. Per esempio, le aziende che hanno esteso il congedo di paternità o che offrono congedi parentali di cui usufruiscono sia le donne che gli uomini. Inoltre, premia tutte le prassi che aumentano le facilitazioni connesse al contratto collettivo nazionale. Quindi, non è solo un vantaggio per le donne, è un vantaggio per le persone, perché le azioni di welfare che necessariamente considerano la dimensione del femminile in azienda producono vantaggi anche per gli uomini, che possono vivere la loro genitorialità e in generale la loro vita personale e professionale in modo meno stigmatizzato rispetto al passato.