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Gamification: 3 errori da evitare nell’avvio di un progetto

“Gamification” è una parola che sta entrando sempre di più nei vocabolari delle imprese italiane e nell’universo della formazione aziendale. Come succede spesso in questi casi, superata una prima fase caratterizzata da forte interesse e curiosità, il focus delle imprese si sposta sul piano applicativo. Gartner ha affermato che entro il 2014 l’80% delle attuali applicazioni “gamificate” avrebbe fallito nel raggiungere gli obiettivi aziendali, a causa di errori nella progettazione.

È stato davvero così? Non possiamo saperlo ma quello che constatiamo è che probabilmente alle imprese mancano ancora delle “istruzioni per l’uso” in grado di trasformare un’idea innovativa e potenzialmente rivoluzionaria in un cambiamento concreto e soprattutto efficace. Avviare un percorso di Gamification all’interno della propria azienda, spesso può rivelarsi non semplice e, rispetto ad altri progetti di formazione, richiede probabilmente un team più trasversale e multidisciplinare, tempi di incubazione maggiori nonché un forte mandato e supporto del management.

Il primo passo per evitare di rimanere arenati è essere consapevoli di quali sono i tipici errori che caratterizzano l’avvio di un tale progetto.

Primo Errore: Confondere le tecnologie con le metodologie Il primo ostacolo è rappresentato da un equivoco ricorrente che porta ad assimilare la ludicizzazione ad un aspetto meramente tecnologico. Invece la Gamification è una strategia, pertanto non implica l’adozione di determinati tool, hardware o software. In altre parole, non esiste una dotazione tecnologia che, dato un investimento iniziale, consenta ad una impresa di produrre prodotti “gamificati”. La Gamification può essere applicata in molteplici forme (anche molto diverse tra loro) e con budget sostanzialmente differenti. Chi pensa pertanto che adottare la Gamification significhi sobbarcarsi la produzione di qualcosa di assimilabile a un videogioco, è fuoristrada: la scelta di quali dinamiche ludiche utilizzare e di come farlo può essere calibrata sulla base del budget e delle tecnologie a disposizione dell’azienda. Un consiglio? Si possono creare corsi “gamificati” anche attraverso gli Authoring tools per l’autoproduzione di corsi e-learning.

Secondo Errore: limitarsi alla “pointsification Lo scopo di una strategia ludica è creare engagement, ossia aumentare il coinvolgimento degli utenti. Per creare coinvolgimento, occorre sviluppare esperienze di gioco coerenti e significative, utilizzando la combinazione di elementi più adatta agli obiettivi che si vogliono perseguire. Se la strategia si riduce a inserire solamente punti o badge, senza un’idea precisa, si ottiene un risultato scadente, di poco successo e con scarso valore per l’utente, quindi con un’alta tendenza all’abbandono. Infatti, il semplice atto di svolgere particolari compiti per ottenere punti o badge “esclusivi”, non offre alcuna interazione ludica al giocatore né incrementa la sua motivazione. In tutti questi casi si parla di pointsification o badgeification che potremmo definire come la deriva e la degenerazione della Gamification. Il consiglio, in questo caso, è di investire nella progettazione evitando di applicare formule precostituite e automatismi che, nel mondo della formazione e dell’e-learning in particolare, rappresentano i peggiori nemici della qualità e dell’efficacia didattica.

Terzo Errore: ignorare il target Molte aziende che avviano la progettazione di un percorso di Gamification si chiedono spesso: “da dove cominciare”? La progettazione di qualsiasi intervento formativo non può che mettere al centro il proprio target, e questo vale anche se si sceglie di adottare l’uso di meccanismi e di dinamiche tipiche del gioco, con uno shift fondamentale: in questo caso occorre comprendere che i nostri interlocutori sono, prima di ogni altra cosa, giocatori. Non tutti i giocatori però sono uguali: ogni giocatore è motivato da cose diverse.

Come si fa allora a capire cosa motiva ognuno dei nostri utenti? Ci aiuta Bartle, che nel 1996 ha identificato i 4 profili di giocatori sulla base dei loro tratti di personalità e dell’approccio nei confronti dell’esperienza ludica: killers, achievers, socializers ed explorers. Attraverso l’analisi di Bartle possiamo scoprire, ad esempio, che in un percorso rivolto ai “killers” è fondamentale inserire una classifica di rendimento e la possibilità di gareggiare e sfidare gli altri utenti, mentre questo aspetto è del tutto marginale se la platea è composta prevalentemente da “explorers” che traggono la loro motivazione dall’interazione con il percorso, dalla scoperta e dalla condivisione di informazioni. Il consiglio è dunque quello di imparare a conoscere meglio il proprio target prima di progettare, altrimenti si rischia di investire risorse ed energie in una direzione sbagliata. Uno strumento utile, in tal senso, è il Bartle test, un questionario in grado di definire il profilo psicologico dei propri utenti-giocatori.

Questa tematica è stata affrontata nel posterLab n. 24: “gamification”

Vincenzo Petruzzi

Scritto da: Vincenzo Petruzzi il 14 Giugno 2016

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