Conversazioni – Marco Amicucci intervista Matteo Uggeri della Fondazione Politecnico di Milano (Area Digital Learning & Collaboration)
M. A.: Qual è la differenza tra il gioco con finalità educativa e il concetto di Gamification?
M. U.: Sono due cose molto diverse. Quando si parla di definizioni è veramente pericoloso delineare dei confini rigorosi. Si può dire che i giochi didattici o serious games sono dei prodotti digitali con una spiccata componente didattica. La Gamification è più una pratica, una modalità, che non necessariamente passa attraverso il digitale o necessita di un supporto informatico, quindi può essere utilizzata in contesti aziendali o in classe. Potremmo dire che un professore che organizza una piccola gara con un premio in palio, diverso dal voto in sé, è già un esempio di Gamification. Adesso ci sono delle aziende che fanno del lavoro sulla Gamification il loro business principale, spesso però esso è legato a componenti digitali: queste aziende lavorano con altre nel campo della formazione o della motivazione del personale. L’esempio tra i più classici è quello dei commerciali – poniamo un’azienda farmaceutica – che devono imparare le tecniche per vendere e per convincere i clienti e i medici. Devono essere stimolati a farlo. È chiaro che l’incentivo classico e banale è quello economico, però ci possono essere simulazioni, anche ludiche, attraverso le quali si possono inventare e implementare dei giochi che favoriscono una sana competizione. Spesso queste pratiche hanno una ricaduta diretta sulla realtà, non sono semplicemente simulazioni possono esserlo, ma in questo caso il confine con il serious games diventa labile.
M. A.: So che sei un esperto di format Game Jam, un evento dedicato al gioco, puoi introdurci in questo mondo? Aiutaci a chiarire di cosa stiamo parlando e come i giochi possono essere utilizzati per finalità non esclusivamente ludiche.
M. U.: Questo formato, la Game Jam, è qualcosa di molto interessante e stimolante, diciamo anche curioso. Innanzitutto si tratta di un formato particolare. Nasce in sostanza da un altro tipo di pratica che forse è più conosciuta, quella della Hackathon, ossia dei momenti, all’interno dei quali, dei programmatori e degli sviluppatori di software si ritrovano e cercano di sviluppare un programma nell’arco di un tempo limitato, normalmente un weekend. La Game Jam è un insieme di questo.
M. A.: Dunque si tratta di eventi organizzati in luoghi fisici in cui i partecipanti si incontrano e si conoscono per la prima volta per realizzare dei giochi. Qual è la tipologia più diffusa? Quali sono le finalità principali? Sono generalmente riferite al mondo dell’educazione scolastica?
M. U.: Non necessariamente. Possono essere molto generali o anche molto specifiche. Per fare un esempio nel nostro progetto che dura tre anni e che è iniziato l’anno scorso ci sono tre temi, uno per ogni anno. Abbiamo iniziato con l’ICT, quindi l’innovazione tecnologica, focalizzandoci sulla comunicazione nelle nuove tecnologie.Quest’anno l’argomento era più ampio e riguardava gli stili di vita salutari. Noi, avendo organizzato l’evento a Milano, ed essendo l’anno dell’Expo, ci siamo concentrati sul tema del cibo. Di conseguenza i ragazzi hanno sviluppato dei giochi che avessero come messaggio, più o meno esplicito, quello di consumare il cibo in maniera più sana. Abbiamo preparato dei contratti per i partecipanti che sollevassero chiunque da un uso commerciale del prodotto, perché il nostro progetto ha fini essenzialmente educativi ed è finanziato dall’Unione Europea. Questo è un tema molto generico. Al contrario, in alcuni contesti come quello aziendale, a volte, la Game Jam viene organizzata in base alle finalità specifiche di un committente. Ci sono aziende che vogliono sviluppare dei giochi per la formazione interna e utilizzano il formato delle Game Jam perché, in questo modo, hanno delle idee di prototipi funzionanti in un arco di tempo molto limitato da quelli possono successivamente partire per sviluppare qualcosa di più interessante.
M. A.: Chi partecipa ad una Game Jam? Ci sono anche partecipanti atipici o sono sempre esperti di videogiochi?
M. U.: La figura dello sviluppatore di giochi è molto vasta. Per fare un gioco ci vogliono molte personalità. All’evento di Milano c’è stato l’intervento molto interessante da parte di Giuseppe Franchi di Event Horizon che ha spiegato qual è la figura del game designer, cioè il progettista di giochi. Chi è? Cosa fa? È diverso dall’implementatore che ha comunque un ruolo molto importante. Inoltre, negli ultimi anni, abbiamo registrato la partecipazione crescente di un pubblico femminile sia a livello di utilizzo che di sviluppo dei giochi.
Staff skilla