Uno degli scopi della formazione, oggi, è quello di riuscire a rispondere a molteplici esigenze. Ogni azienda, contesto e singolo lavoratore, infatti, hanno caratteristiche proprie di cui il formatore deve tenere conto. Ed è proprio per questo che la nuova formazione richiede un arricchimento delle competenze soprattutto in ambito progettuale. In quest’ottica la progettazione verso il blended learning – ovvero quel sistema di apprendimento ibrido, capace di mescolare tecniche di formazione più tradizionali con le più moderne tecnologie – può dare una risposta alle sfide che la formazione si trova ad affrontare.
Proviamo a pensare ad ogni progetto formativo come ad una sorta di ricetta, un mix di ingredienti che vanno selezionati e sapientemente dosati, per generare il massimo dell’apprendimento. Un progetto ben fatto significa varietà, piacevolezza, impatto. Mixare, integrare, combinare risorse e linguaggi sono i punti di partenza per la creazione di percorsi che risultino efficaci e incisivi.
Un percorso blended potrà prevedere, ad esempio, sessioni di apprendimento con un tutor, magari in un videocorso, affiancate però da contenuti digitali fruibili, ad esempio, attraverso una piattaforma web. In questo modo si andrà a sfruttare il meglio della formazione offline e online, rispettando i ritmi di apprendimento di tutti e incrementando allo stesso tempo il coinvolgimento.
La parola chiave è dunque integrazione: di metodi di apprendimento, di risorse, di strumenti, di soluzioni.
Quali sono i nuovi obiettivi della formazione blended?
La formazione deve riuscire a innovare sempre se stessa, perseguendo degli obiettivi che la porteranno a essere davvero efficace.
Contesti competitivi, dinamici e complessi richiedono alle aziende comportamenti innovativi, capaci di percepire anticipatamente – anche grazie al supporto di nuovi strumenti e metodologie – i problemi, le tendenze o i cambiamenti futuri, in modo da poter pianificare le azioni opportune per tempo.
È in questo ambito e in questa ottica che la formazione vive una duplice sfida: innovare se stessa per innovare la cultura aziendale.
Tutto ciò si traduce nell’individuazione e nel raggiungimento di una serie di obiettivi:
- innovare il processo formativo;
- abbattere i tempi e i costi della formazione;
- capitalizzare la conoscenza aziendale.
- favorire la co-costruzione della conoscenza;
- dare maggiore continuità all’esperienza formativa;
- ridurre la distanza tra lavoro e formazione
- rendere l’esperienza formativa più efficace;
- riuscire a coinvolgere tutti i destinatari dei corsi che hanno differenti stili di apprendimento;
- tenere “agganciati” i destinatari lungo tutto il percorso formativo, riducendo al minimo il “tasso di abbandono”.
Quali sono le competenze che il nuovo formatore blended deve avere?
Il filosofo francese Edgar Morin affermava che per affrontare le sfide della complessità “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”.
Nella citazione di Morin è racchiuso il segreto per una buona formazione: non si tratta di accumulare informazioni, ma di formare le persone affinché apprendano i contenuti e – soprattutto – sviluppino un’attitudine generale a porre e trattare i problemi e a padroneggiare i principi organizzatori che permettono di collegare i saperi e dare loro un senso.
Un buon formatore deve far sviluppare un’attitudine generale a porre e trattare i problemi. Per farlo dovrà attivarsi in base alle persone e al contesto in cui opera, sfruttando tutte le risorse che ha a disposizione, diventando così un “learning architect”, che progetta la “città dell’apprendimento” in funzione dei cittadini che la abitano e dell’ambiente nel quale si inserisce.
Ma il formatore deve diventare anche un regista, cui spetta il compito di dirigere e organizzare tutti gli attori coinvolti nel processo, garantendo il massimo dell’armonia e delle performance.
Obiettivo del nuovo formatore è quindi quello di “tirar fuori” dalle persone e dall’ambiente le migliori risorse. Per riuscirci deve:
- essere in grado di avvalersi in modo efficace degli strumenti digitali e delle risorse del web per progettare;
- saper condurre aule in presenza e a distanza (webinar);
- saper gestire il post aula, costruendo e animando la community.
Che cosa deve saper fare il formatore «blended»?
Integrare al meglio off line e on line e ciò implica:
- la necessità di costruire nuove competenze didattiche;
- la conoscenza degli strumenti e delle risorse digitali che possono tornare utili alla formazione (multimedialità, interattività e simulazione);
- mettersi in gioco in un diverso ambiente di lavoro, ridisegnando anche il proprio ruolo;
- comprendere in quali occasioni e per quali ragioni ricorrere al digital learning nelle attività formative (facilità d’uso, monitoraggio dell’attività, ruolo attivo del partecipante, feedback di apprendimento ecc.).
Che cosa, invece non serve al formatore «blended»?
- ridisegnare ex novo i materiali per la formazione. Possono essere rielaborati in base a nuovo contesto formativo;
- replicare pedissequamente attività d’aula, perché on line lo stile e il ritmo di apprendimento è diverso.
L’integrazione della formazione off line-on line aiuta a pensare in modo più strategico e non convenzionale (“out of the box” per dirla all’inglese).
L’obiettivo è duplice: aiutare le persone in azienda a rimanere aggiornate e a crescere.
Come si struttura un percorso formativo blended?
Per far sì che un percorso formativo sia davvero efficace, possiamo seguire un piccolo schema:
- iniziamo con il porci 3 domande chiave
- e, per la sua progettazione, seguiamo 5 fasi.
Le domande da porsi sono:
- Quali sono gli obiettivi della formazione?
- Quali metodi scegliere per raggiungere i risultati desiderati?
- Quali sono le caratteristiche del target?
Le risposte a queste domande serviranno a costruire il nostro percorso, aiutandoci a calibrare di volta in volta le opportune soluzioni per il dato contesto.
Una volta trovate le risposte alle 3 domande possiamo pensare alla progettazione vera e propria del percorso.
La progettazione è suddivisa in 5 fasi
Fase #1. Analizzare
La prima fase consiste nel definire un perimetro delle attività di apprendimento e nell’individuare una linea da seguire.
Si concretizza nell’esaminare i gap di performance, osservare i bisogni formativi delle persone, definire il target di utenza, identificare gli indicatori che definiranno l’andamento del progetto (i cosiddetti KPI – Key Performance Indicators).
Fase #2. Progettare
La seconda fase è quella del progettare, ovvero valutare la situazione e delineare un disegno complessivo.
Si realizza scegliendo gli argomenti, le fonti, le metodologie, il media setting, la sequenza e i tempi del nostro percorso.
Fase #3. Sviluppare
La terza fase, ovvero sviluppare, consiste nella realizzazione di quanto progettato, tenendo conto delle risorse disponibili.
Si concretizza nella produzione dei contenuti, dei Learning Object, del prototipo, dei test e del training dei docenti.
Fase #4. Implementare
La quarta fase prevede di mettere in atto il percorso vero e proprio, attivando l’ambiente, fornendo informazioni agli utenti e organizzando il lavoro dei docenti.
Fase #5. Valutare
L’ultima fase è quella del valutare. Questa fase consiste nel processo di analisi dei risultati che si sono conseguiti e si realizza misurando i KPI e analizzando i feedback raccolti.
Le 6 regole d’oro
Nella fase di progettazione è possibile seguire 6 regole d’oro per creare un percorso efficace.
1 – La prima regola riguarda la diversificazione delle metodologie.
Occorre sempre puntare sulla varietà e sul bilanciamento delle diverse metodologie: ogni percorso deve essere basato sulla molteplicità.
2 – La seconda regola riguarda l’aula.
Bisogna tenere bene a mente che l’aula non scompare: si innova!
Si trasforma, così, in una palestra formativa, luogo di confronto e condivisione di esperienze, per un’esperienza più breve ma di grande qualità.
3 – Passiamo al ruolo del formatore. La terza regola, infatti, dice che il formatore diventa regista del processo di apprendimento, digitale, socratico. Il suo compito è quello di riuscire a tirar fuori dalle persone e dall’ambiente le migliori risorse.
4 – La quarta regola dice che per ogni progetto va creata una rete di supporter interni, che diano sponsorship al percorso, facciano da tutor ai colleghi e che inneschino un effetto moltiplicatore.
5 – Anche la comunicazione è un fattore fondamentale.
La quinta regola, infatti, dice che vanno create campagne di comunicazione a supporto di ogni progetto, per esplicitare il patto formativo e dare una visione chiara degli obiettivi, delle fasi e delle persone coinvolte. Va fornita, dunque, una mappa chiara e completa del processo formativo.
6 – Infine, l’ultima regola riguarda la varietà.
Va cercata la “contaminazione” a livello di contenuti e di linguaggi.
Formazione comportamentale e tecnica, ad esempio, possono coesistere all’interno di uno stesso percorso, così come i linguaggi multimediali possono essere utilizzati in aula.
Quali sono i primi passi se si vuole realizzare un percorso blended? Ci sono 3 step iniziali che permettono di avvicinarsi efficacemente al mondo del blended learning:
- selezionare tra tutte le metodologie quelle più facilmente introducibili nella specifica realtà e nel contesto in cui si dovrà lavorare;
- iniziare gradualmente, con due percorsi pilota che prevedano aula e attività online, prima e dopo;
- standardizzare il processo di progettazione ed erogazione dei percorsi pilota per poi replicarlo.
Ora che hai capito cosa la formazione blendend sia e come può rivoluzionare la formazione… che aspetti? Segui i nostri consigli e applicala subito alla tua realtà.