I salti di paradigma, teorizzati da Kuhn nel 1962, ci permettono di capire meglio il grande cambiamento che ci troviamo ad affrontare in questa precisa epoca storica. Il vecchio modello di pensiero sta lasciando spazio a quello nuovo e ciò che viene chiamato crisi non è altro che l’effetto di questo grande salto. Il difficile, però, è riuscire a comprenderlo e vedere il mondo con occhi nuovi.
I prezzi scendono, e con essi i consumi. Ci siamo sempre lamentati del carovita e dell’eccesso di consumismo, quindi dovremmo essere contenti se finalmente calano prezzi e consumi. Invece tutti i media piangono e lanciano grida di allarme per lo spauracchio della deflazione. Come mai? La risposta è: perché continuiamo a valutare la situazione attuale con gli stessi criteri che usavamo in passato.
Dagli anni ’80 in poi la rivoluzione digitale ha cambiato il modo di produrre, vendere e comunicare. La globalizzazione tende a creare un grande mercato unico, le tecnologie tendono ad eliminare il lavoro umano, la finanza domina su tutto, con logiche spesso contrarie ad interessi reali, e il denaro è un’entità astratta che non ha più nessuna relazione con i beni a cui dovrebbe riferirsi. Crescono le differenze fra ricchi e poveri e con esse i conflitti fra l’economia, ferocemente basata sulla crescita continua, e l’ecologia, altrettanto ferocemente consapevole che non si può crescere senza limiti in un mondo limitato.
Ecco, dunque, che per affrontare problemi vecchi che si agitano con più forza nelle turbolenze di un mondo nuovo, e problemi nuovi che emergono dalle crepe di un mondo vecchio, bisogna fare qualcosa di diverso da ciò che si faceva. Ma non si può fare in modo diverso se non si pensa in modo diverso. E non si può pensare in modo diverso se non si vedono le cose in modo diverso. Occorre allenarsi a fare SALTI DI PARADIGMA.
Che cos’è un paradigma? È un modello a cui ci si riferisce che va dalla grammatica per declinare nomi e coniugare verbi, fino a tutti gli altri ambiti del pensiero. La famiglia tradizionale fatta di padre, madre e due figli è un paradigma, come lo sono la democrazia, la crescita del PIL, il liberismo economico, il libero arbitrio. Percezioni, giudizi, interventi, hanno un valore se riferiti ad un paradigma, cambiano se si cambia il paradigma di riferimento. Per esempio, il concetto di responsabilità dell’individuo dipende dal libero arbitrio: se neghiamo la libertà di scelta e crediamo che tutto sia predeterminato da un insieme di necessità, l’individuo non è più responsabile di ciò che fa.
Fino a che un paradigma funziona, non c’è motivo di cambiarlo. Quando però cambiano cose, scenari, persone, tecnologie, conoscenze e condizioni ambientali, restare legati ai vecchi paradigmi può essere dannoso, perfino distruttivo. Tuttavia, esistono diversi livelli di sensibilità ai segnali di cambiamento: alcuni colgono subito i primi segnali deboli, tutti gli altri invece reagiscono solo quando i segnali sono diventati fortissimi, addirittura catastrofici. Le persone più sensibili non vengono capite e apprezzate, perché la loro voce è troppo debole di fronte all’ottuso brusio delle maggioranze o alla silenziosa pervicacia dei privilegi cristallizzati. Thomas Kuhn, il teorico del “salto di paradigma”, è un epistemologo americano che nel 1962 scrisse La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche, (ripubblicato da Einaudi nel 2009), in cui sosteneva che il progresso scientifico non è un’evoluzione continua, ma piuttosto è una “serie di pacifici interludi interrotti da violente rivoluzioni intellettuali“, e in queste rivoluzioni “una visione concettuale del mondo è sostituita da un’altra“.
Questa è una mia rappresentazione del processo di salto di paradigma teorizzato da Kuhn. Il processo inizia con una fase pre-paradigmatica, in cui si confrontano scuole e teorie diverse. Da esse emergeranno quelle che costituiranno il nuovo paradigma. Non è detto che siano le più veritiere o scientificamente eleganti, potrebbero essere anche le più forti economicamente e politicamente. Nasce così il nuovo paradigma, il nuovo modello di visione del mondo, a cui tutta la comunità scientifica si uniforma cercando di spiegare i fenomeni adattandoli al paradigma corrente. Le anomalie non vengono considerate come smentite del paradigma, ma come eccezioni che vanno riportate nella corrente.
Ad un certo punto però, anomalie e nuove scoperte mettono in discussione il paradigma corrente e si creano nuove scuole o addirittura vecchie scuole, che precedentemente erano state perdenti, tornano in auge. I sostenitori del paradigma corrente, che occupano tutti i principali posti di potere, fanno di tutto per difenderlo e per conservare i loro privilegi, ma prima o poi emergerà un nuovo paradigma da cui partirà una nuova normalità. Tutto quello che appartiene al paradigma blu sembra sbagliato e inconcepibile a quelli che restano nel paradigma rosso. Questo schema, oltre che alla scienza, si applica in tutti i casi di resistenza al cambiamento, dall’introduzione di un nuovo software da ufficio, alla fusione di due aziende. È altrettanto valido dal micro al macro, come il cambiamento mentale che serve a smettere di fumare o come la profonda e totale rivoluzione relativa al passaggio dal sistema geocentrico a quello eliocentrico. Tornando alla macroeconomia, il pensiero unico di economisti, media, politici, è ancorato al paradigma della crescita del PIL come indicatore di benessere economico e quindi deplora qualsiasi non-crescita, anche quando andrebbe a vantaggio di chi ha meno soldi da spendere. Ma basterebbe uscire da questo paradigma per studiare vere strategie di non-crescita, o meglio di crescita di cose molto più belle del PIL, come la serenità e la convivialità fra le persone.
Umberto Santucci Di questo, e altri metodi di utilizzazione del pensiero creativo, parlo nel libro “12 passi per… ottenere ciò che vuoi”, FrancoAngeli-Skilla, 2014.