Approfondimenti

Tecnofobie: appunti per un eLearning oltre le ansie digitali

And now the future’s definition is so much higher than it was last year

It’s like the images have all become real

And someone’s living my life for me out in the mirror

No, can you believe how far we’ve come?

In the new age

Freedom to have what you want

Father John Misty, da “Total Entertainment Forever

(Ci piace l’idea di associare una citazione come esergo di una serie di articoli che pubblicheremo su vari temi, di cui questo è il primo, associandoli a canzoni che in qualche modo trattano il tema proposto. Il consiglio è dunque quello di ascoltare il brano dopo la lettura dell’articolo, o durante, per un’esperienza (in)formativa arricchita)

Troppo digitale vs. senza

“Il fatto di non essere raggiungibile mi dava sollievo. In generale, quando posso abbandonare il cellulare, mi sento rasserenato, significa che sono in modalità non-lavorativa.” In queste parole credo si possano identificare la più parte dei lettori, e probabilmente un’enorme fetta di popolazione che, più o meno volontariamente, utilizza la tecnologia per lavorare, comunicare, pianificare, viaggiare, acquistare. Ed apprendere. La cosa particolare nel nostro specifico caso è che a parlare è un ex detenuto, sul quale ovviamente non fornirò altri dettagli, se non il fatto che lavora nel campo della comunicazione, quindi immerso nella rete, e che ho voluto confrontarmi con lui nel momento in cui ho iniziato ad affrontare i temi di questo ed altri articoli che leggerete: la tecnofobia e l’ansia da digitale. Perché? La ragione è che, nel momento in cui mi sono chiesto cosa genera ansia in noi fruitori di tecnologia oggi, ho pensato che è divenuto perfino difficile immaginarsi senza tecnologia. Sono poche le persone inserite nel mondo del lavoro diciamo ‘impiegatizio’, o comunque che sfruttano i device digitali, che sperimentano per periodi prolungati una totale privazione della connessione digitale col mondo. Un detenuto, suo malgrado, è costretto[1] a fare a meno di tale possibilità in maniera radicale, forzata, spesso non negoziabile. Un ‘digital detox’, come viene chiamato ora, imposto e prolungato – nel suo caso per circa un anno e mezzo. “A volte l’essere sempre raggiungibile e la possibilità di lavorare, giocare, informarmi in qualsiasi giorno, ora e luogo mi ha generato ansie”, aggiunge F., il quale dichiara di non essersi mai sentito in alcun modo dipendente dalla tecnologia ovviamente, rispetto alla detenzione, “entrando in carcere, la tecnologia era l’ultimo dei miei pensieri”, afferma. Tuttavia è curioso rilevare come, in una situazione di estremo disagio, l’esser privati della connessione digitale col mondo ha rappresentato quasi un sollievo. Come siamo arrivati a questo punto? E perché ce ne occupiamo in un blog che parla essenzialmente di eLearning? Perché quella piccola ‘e’ prima del ‘learning’, che tante opportunità che ci sta dando per lavorare e apprendere, si è fatta pesante, faticosa, temibile. Un tempo stava per ‘elettronico’, termine ormai vetusto, tanto è vero che oggi si preferisce parlare di ‘digital learning’, ma il punto è oggi chiederci come possiamo convivere al meglio con questo indispensabile fardello. In particolare, ci chiediamo come professionisti della formazione devono affrontare quella che viene chiamata un po’ genericamente ‘tecnofobia‘, ossia la paura di ciò che attiene al mondo tecnologico. Per farlo, ci siamo voluti confrontare con professionisti della mente, Roberto Calatroni e Massimiliano Mariani, psicologi e psicoterapeuti presso Il Ruolo Terapeutico di Milano[2], ai quali abbiamo innanzitutto chiesto quale termine ha più senso usare: “Io parlerei di ansie, che sono reazioni emotive a pericoli percepiti e non necessariamente reali, al contrario delle paure che si riferiscono a pericoli concreti ed immediati”, risponde Calatroni, che peraltro è formatore egli stesso, oltre ad occuparsi di supervisioni d’équipe educative.

Reazione emotive

Quindi parliamo di ‘reazioni emotive’: un tema delicato che sicuramente non è nuovo per chi, in azienda, si occupa di risorse umane e formazione. Ma è curioso anche l’accento sulla differenza tra pericoli ‘percepiti’ contro ‘reali’: per chi si occupa di eLearning, è facile pensare, temo per l’ennesima volta, alla nota riluttanza verso l’apprendimento mediato dalla macchina, il timore da assenza del maestro, appunto la percezione che ci sia qualcosa di incontrollabile, inquietante dietro ai meccanismi della macchina. Sono cose di cui si discute da sempre, ma ogni volta da nuove prospettive. Oggi si presentano nuove resistenze, nuove ansie, forse perché il cambiamento, percepito o reale, sembra essere rapidissimo, fuori controllo. “Resistere al cambiamento è una tendenza naturale, la ‘dimensione futura’ attiene appunto al futuro ed è una dimensione di insicurezza”, ci ricorda Massimiliano Mariani. Inoltre, la così detta tecnofobia, che si tratti di un termine pertinente o meno, è un argomento di moda, col quale ci vogliamo confrontare. Immagine tratta da “How Metropolis was made”, Smithsoninan, 1927 (https://www.smithsonianmag.com/history/1927-magazine-looks-at-metropolis-a-movie-based-on-science-4328353/) riportato su Imgur (2017), per spiegare come erano state fatte certe scene di Metropolis (1927) di Fritz Lang, emblematico di una visione distopica del futuro automatizzato.

Ataviche paure delle macchine

Nell’ambito della formazione forse si è scritto ancora poco, tuttavia, per quel che attiene il mondo del lavoro, si sprecano gli articoli oggi che affrontano questo argomento dal punto di vista della robotica e dell’intelligenza artificiale, tra cui segnaliamo su Die Zeit “Liberi o schiavi dal lavoro”[3], nel quale si parla soprattutto di professioni che scompariranno a causa dell’automazione. A titolo di curiosità, vi suggerisco di visitare il sito (tedesco) che l’articolo menziona, Job-Futuromat, il quale, sviluppato nel 2016 da un laboratorio di Norimberga, permette di inserire il proprio lavoro e ottenere un pronostico su quante possibilità che questo scompaia nei prossimi anni. Io – con fatica, poiché il sito è solo in tedesco – ho provato tra le mansioni proposte con “E-Learning Autor” (non mi è chiaro cosa intenda il sito, ma suppongo quello che noi chiamiamo “Instructional Designer”), e mi ha restituito questo pronostico, tanto ambiguo quanto inquietante: “Il lavoro quotidiano di questa professione consiste essenzialmente di 5 diverse attività; due di loro e quindi il 40% potrebbero essere rilevate da robot. Trovate maggiori dettagli su questo lavoro presso l’Agenzia Federale del Lavoro.” Non ho osato approfondire oltre, ma ho cominciato a chiedermi come affrontare la questione da entrambe i punti di vista: come professionista dell’eLearning – quello che magari perderà il lavoro a causa della stessa ‘e’ della propria professione – e come fruitore – quello che del digitale non ne può più e si interessa alla carcerazione come emblema del digital detox. Mi interessa soprattutto affrontare la questione in modo quanto più possibile positivo e costruttivo, per capire come la formazione innovativa di cui ci occupiamo può affrontare queste sfide e ancora una volta essere di supporto alla crescita dell’individuo e non un ostacolo. “Non dobbiamo abbandonarci al cambiamento digitale, ma andargli incontro in modo attivo, dargli forma e incanalarlo nella direzione giusta, dov’è utile agli esseri umani”, afferma nell’articolo prima citato Bjorn Bonhning, viceministro del Ministero del lavoro di Berlino. Che responsabilità ha quindi chi si occupa di formazione in tutto ciò? A mio avviso, conviene approcciare la questione dalla radice, da quella quotidianità asfissiante in cui non ne possiamo più di digitale, per capire nell’eLearning quali ostacoli si generano per la formazione, e come superarli. In maniera del tutto empirica, proporrò una sorta di elenco, che non pretende di essere una categorizzazione, delle ansie, più che fobie, legate alla vita quotidiana prima, e alla formazione poi. Prima però conviene dare un’occhiata ad altra letteratura in merito, poiché in tanti hanno iniziato ad occuparsi del problema. Il sito eLearning Industry riportava nel 2016 un articolo[4] a firma di Christopher Pappas, il quale elencava 8 “Top eLearning Barriers”:

  • Limited Tech Experience
  • Past Experience
  • Lack Of Motivation
  • Personal Cognitions
  • Too Challenging eLearning Materials
  • Inadequate Support
  • Lack Of Community Involvement
  • Online Learner Boredom

Ma vediamo che si tratta essenzialmente di problematiche che sembrano dare già per scontato l’uso del digitale, all’interno del quale la formazione è solo uno step successivo. Si tratta appunto del ‘vecchio problema’ che generava riluttanza all’uso dell’eLearning perché questo era poco adeguato, poco performante, non ‘stava al passo’. Dello stesso tenore altre ricerche, come “A learner perspective on barriers to e-learning”[5], dove si identificano ragioni varie che creano barriere all’utilizzo dell’eLearning, prime tra tutte la classica ‘spersonalizzazione’ data dall’uso del mezzo informatico in luogo della formazione d’aula. Ma capite che si tratta di problemi già affrontati (e mai risolti, sotto certi aspetti). Il problema oggi è affrontare il fatto che l’ansia da digitale già c’è, o la paura, o comunque un disagio, un fastidio, ed a volte l’adozione della formazione digitale si pone come un surplus di malessere. Una ricerca americana ha perfino affrontato proprio il ruolo dell’ansia, anche come leva ad apprendere, poiché questa è – specie negli studenti universitari – connessa all’idea stessa di studio, e di performance (vedi il discorso di esami, voti e achievementes vari). “The Challenge of Motivation in e-Learning: Role of Anxiety”[6] si apre con l’affermazione che “seguire un corso completamente online può avere spiacevoli effetti collaterali”, ed evidenzia poi nel rapporto come l’ansia può impattare sulla relazione tra risultati e motivazione intrinseca, concludendo che la ricerca mostra che gli studenti imparano meglio quando si godono l’attività online nello stesso modo in cui si divertono giocando (e qui ritroviamo il tema della gamification [https://www.skilla.com/blog/soft-skill-come-svilupparle-giocando_2176/], più volte trattato in questo contesto, e su cui torneremo).

Educare con e alla tecnologia

Detto ciò, l’opinione di chi scrive è che forse serve addentrarci nello specifico delle ansie digitali ‘generali’, prima di affrontarle da punto di vista dell’eLearning: abbiamo quindi tentato una sorta di elenco, senza pretese di esaustività, per cercare di capire quali sono gli ostacoli all’uso del digitale, e di conseguenza all’apprendimento mediato dalla tecnologia, confrontandoci con i colleghi psicologi. Affronteremo tutto in un prossimo articolo, nel quale cercheremo di proporre anche soluzioni progettuali ai problemi, cercando di mettere come sempre al centro l’individuo, il discente, e le sue competenze. “Meno uno si sente competente, meno è sicuro, più ha paura. Una soluzione può essere l’educazione alla tecnologia”, affermano infatti Calatroni e Mariani, che proseguono sottolineando come sia importante per le persone “avere dei riferimenti, delle cornici in cui muoversi, per potersi sentire tranquilli.” Chi progetta la formazione è colui che traccia queste cornici, che ne definisce i confini, che deve fare da guida, al punto che “è importante, soprattutto in tecnologia, avere sistemi di riferimento che vengono percepiti come sicuri e solidi, poiché viviamo in un’era che è quella del crollo delle grandi ideologie e dei sistemi valoriali.” Cercheremo dunque, in un prossimo articolo, di capire nel nostro piccolo cosa possiamo fare in questo scenario, dove elencheremo una decina di ansie da digitale, affrontandone l’origine dal punto di vista psicologico e sociale, sempre assistiti dai colleghi del Ruolo Terapeutico, ma anche e soprattutto proponendo strategie progettuali per far sì che i progetti formativi che possiamo creare siano in grado di affrontare tutti questi ostacoli, e superarli.

Matteo Uggeri


[1]Ad onor del vero non tutte le carceri attuano questo tipo di misura restrittiva, la quale dipende anche dalla pena. Come detto, non voglio né serve dare ulteriori dettagli rispetto alla persona cui facciamo riferimento.

[2]Il Ruolo Terapeutico è contemporaneamente un Centro Clinico, una rivista di psicoanalisi e una Scuola di Formazione in Psicoterapia. L’intenzione dichiarata, e sempre poi perseguita dal fondatore e da tutti coloro che nel corso del tempo si sono associati all’impresa, è quella di portare la cultura e la pratica psicoanalitica in tutti i luoghi deputati ad affrontare la sofferenza psichica e relazionale delle persone

[3]Uwe Jean Heuser, Caterina Lobenstein, Kolja Rudzio e Heinrich Wefing, “Zukunft der Arbeit: Was machen wir morgen?” – ZEIT Arbeit, Die Zeit, Germania, rintracciabile in italiano su Internazionale, n. 1275, 28 settembre 2018 – https://www.zeit.de/2018/18/zukunft-arbeit-kuenstliche-intelligenz-herausforderungen

[4]“Top 8 eLearning Barriers That Inhibit Online Learners Engagement With eLearning Content”, di Christopher Pappas, eLearning Industry, 5 ottobre 2016 – https://elearningindustry.com/elearning-authors/christopher-pappas
[5]“A learner perspective on barriers to e-learning”, Karen Becker, Cameron Newton and Sukanlaya Sawang, Queensland University of Technology, in Australian Journal of Adult Learning

Volume 53, Number 2, giugno 2013 – https://files.eric.ed.gov/fulltext/EJ1013664.pdf

[6]“The Challenge of Motivation in e-Learning: Role of Anxiety”, di Raafat George Saadé, Dennis Kira, and Fassil Nebebe Department of Decision Sciences and MIS, John Molson School of Business, Concordia University, Montreal, Quebec, Canada, su Proceedings of Informing Science &amp IT Education Conference (InSITE), 2013.

Scritto da: Matteo Uggeri il 31 Maggio 2019

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